Nota di Antonino De Bono

La pittura di de Leyva è una pittura "lirico-simbolica" una necessità interiore, una coscienza post-romantica. l'illusione simbolica è perenne nelle sue opere. I suoi dipinti racchiudono momenti plastici a più dimensioni, proprio per sottolineare l'avvicendarsi del tempo, il mistero della creazione.

La sua Nostalgia è la perdita di alcune forme estetiche che si sono perse nel corso del tempo un rinnovo della tradizione per l'acquisizione di un lirismo artistico contemporaneo che infonda una nuova sensibilità.

Antonino De Bono

Antonino De Bono nota N2

L’arte intesa come necessità interiore avvince Moris De Leyva, che eleva a responsabilità morale, ad operosità estetica a sublime manifestazione esistenziale, l’eterno femmineo.

Questa coscienza post-romantica, tra metafisica e surrealtà, si sposa via via ad una celebrazione inventiva e costruttiva dell’intima giocosità, come pane dello spirito.

Non c’è mai compromesso nella sua opera, bensì una contrapposizione fatale di situazioni e di immagini: donne urlanti tra le montagne rievocate come materializzazioni ultrasensibili e sublimi; dolci Silfidi o Nereidi dall’aspetto incantevole e dal corpo di fata, che procedono in campi ubertosi e sazi di fiori. Donne pietrificate da schegge di sale, allucinante nella fossilizzazione tremenda di un segreto e misterioso potere, tra decadenti castelli dalle vetrate gotiche e ricercati arcaismi dell’anima.

Ovunque, incombe nell’opera di questo incantevole artista l’allegoria mordente a sfondo naturalistico e simbolico, l’approccio etico, psicologico e sociale per aprire uno squarcio nell’incoscio della folla anonima, gettare una semente sana nel groviglio delle situazioni ambientali e comunitarie: il problema femminile, l’incomunicabilità tra gli esseri, la violenza imperante, l’infanzia e la spregiudicatezza della realtà quotidiana.

Accanto alla visione della passionalità inquietante, alle convenzioni apparenti, alle proiezioni dinamiche che scaturiscono dalle masse, l’artista contrappone l’individualità presente delle sue eroine e delle sue protagoniste di un’epoca storica, pittorica e leggendaria, per mostrare la decadenza dei costumi, il mondo della maschera come simbolo dell’ambiguità, il monumento all’automa, tra sperduti volti e palloncini, gente vestita da carnevale e teleguidata alla ricerca della civiltà dei consumi.

C’è tutto un processo di idee che ruota intorno alla laicizzazione della cultura, che scaturisce dal Carnevale di Venezia assurto al simbolo della sublimazione godereccia della vita per annullare in un orgia di sentimenti le strutture dell’esistenza. È un po’ lo strale rivolto alla Firenze “carnascialesca” di Lorenzo il Magnifico contrapposta alla coscienza dell’uomo moderno che può risorgere soltanto con l’integrazione di una società operante.

Ed allora, le donne tentatrici e lussuriose che rivivono negli strati sottili del subconscio hanno il compito di assurgere ad immagini-simbolo della fantasia creatrice, dello stimolo luciferino, del gaudio poetico ed esaltante della religiosità dell’esistenza.

Perché Moris De Leyva fa emergere dai volti neo-liberty, delle poliedriche e velate essenze muliebri, lo stimolo della ragione che si avvale del segno per dare un volto all’organicità delle cose. Quindi il ricordo del passato, acquisito pittoricamente con sottile modulazione della pennellata pregna di luminescenze, s’intende come rinnovo della tradizione per l’acquisizione d’un lirismo artistico contemporaneo, che infonda nei viventi una nuova sensibilità romantica, se vogliamo respingere il crescente ed imperante senso dell’uomo-robot come distruzione della personalità e dell’inventiva.

Antonino De Bono

Mostra al museo delle scienze di Milano insieme al Prof Mario Guarino

per la mostra Bagliori di Fede

La pittura di De Leyva è magica,metafisica, onirica ed allegoriga dove l’anima dell’artista si immerge per riportare in superfice dubbi, le paure ma soprattutto la Speranza e il Credo della spiritualità.

Bagliori di Fede è tutto questo: un cammino dove l’uomo può interrogarsi.

I simbolismi parlano al cuore in modo inconsueto, a volte inconscio.

Sant’Agostino diceva: “ I simboli sono l’unico mezzo per unire gli uomini a Dio” ed è questo per che de Leyva vuole esprimere attraverso la sua pittura: portare l’attenzione ad altre culture, ad altri “Credo”, dove stimolare l’osservatore.

Tematiche  che l’uomo si promette di analizzare vengono trasmesse attraverso il colore così da portare nell’opera finita le atmosfere e le visioni che De Leyva comunica col suo pensiero e il suo cuore alla tela, per parlare a coloro che sono capaci di comprendere il significato.

E’ una pittura che entra nell’animo e lo smuove.

Nella Ravelli

Con Antonino Del Bono
all'inaugurazione della mostra al museo della Scienza e della tecnica di Milano

Antonino De Bono nota N. 3

Il realismo fantastico è d'attualità. E' una pittura magica, metafisica, onirica, allegorica: è l'espressione della rinascita delle arti dentro sfere universali.. Moris De Leyva abbandona il solito modulo surreale e si immerge nel mondo kafkiano dell'inquietitudine dove gli abissi dell'anima accolgono le evanescenze dell'umanità, risale lungo il cordone ombelicale si sprofonda negli anfratti descritti da Lovecraft; oscilla nelle immensità dei cieli e dei drammi dipinti da Magritte e da Paul Delvaux e riemerge nuovo, cristallino, rinato alla vita.

 L'allusione simbolica e perenne nella sua opera, scaturisce da un impulso atavico che si perde nella notte dei secoli. Infatti i suoi dipinti racchiudono momenti plastici a più dimensioni proprio per sottolineare l'avvicendarsi del tempo, l'erosione della civiltà, il mistero della creazione. Nel rapporto spaziale sopravvive l'amore e l'anelito della sopravvivenza. Esaminiamo le opere brevemente in una cavalcata ideale sulle ali del fantastico. Sulle rovine di un tempio greco dalle colonne ioniche s'innestano altre architetture: torri medioevali, arcate romane, influssi barocchi, reminescenze gotiche, grattacieli moderni. E' una sintesi dell'umanità, una “summa” di stili, un compendio di motivi strutturali che si richiamano all'avvicendarsi di epoche storiche, ma sopratutto alla tragedia della civiltà. Anche Venezia viene inquadrata in questa visione a posteriori della sua evoluzione. La chiesa della Salute pare che trasudi nelle pietre centenarie la sua anima- proiettata nel tempo-evapora lenta nella palude apocalittica del divenire. Resteranno solo le rovine informi, ridotte a tanti massi sbrecciati, a testimoniare lo splendore della Serenissima Repubblica. L'artista evoca il dramma per intavolare un dialogo con gli uomini del suo tempo, prima che la follia atomica si scateni con rabbia sulle città erette dall'Homo Sapiens. Forse quest' ossesione è insita nell'uomo. Una coppia nuda osserva una coppia di passerotti. L'uomo e la donna stanno gravi e pensierosi, gli uccellini giocondi e spensierati. Ed ecco un muto colloquio del cardellino con la pianta pietrificata dagli umori atmosferici che assume un volto, un anima, un'armonica essenza. Il ritorno alla natura sarebbe l'ideale abbandono dell'essere civile all'inciviltà pura dei primordi. Una donna ritratta come una eterea emanazione langue su di un ramo, mentre nel fondo valle si sgretolano metropoli e si dissolvono imperi nel nulla delle cose. V'è  insomma nella ricerca di Moris De Leyva un anelito alla purificazione, direi quasi alla trasfigurazione dell'uomo abbrutito dalla tecnica e dalle guerre in un uomo spirituale conscio di essere  il depositario dei segreti della natura, non il distruttore dei nostri tempi. Nell'opera “Purificazione” questo osanna si tramuta in raggio di sole che rapisce una donna- la sapienza universale-diventata diafana, rivestita di luce, che a poco a poco compie le metamorfosi della carne per ascendere nelle alte sfere. Quest'estasi sublimata dell'essenza muliebre è resa con tinte soffuse di veli; v'è sempre l'accorgimento da parte dell'artista di accostare i colori caldi e di fonderli con le tinte fredde per dare ampio gioco al dramma psicologico dei suoi personaggi. I violetti, i blu, le ocre, i cobalti, armonizzano in un tripudio di piacevolezze cromatiche, dove il chiarismo domina incontrastato. Moris De Leyva opera in una dimensione temporale per rendere accessibile all'uomo i labirinti della psiche e delle esperienze reali del mondo in cui viviamo. La sua pittura fantastica apre una finestra su di una illusione che potrebbe essere la nostra se l'universo immaginario diventasse realtà

Antonino De Bono

Nota di Vincenzo Luglio

Un ondeggiare di diafane trasparenze, in una evanescenza di luci e di colori, con una dilatazione di universale intenzionalità, è, nella pluralità del dettato artistico, quello che Moris De Leyva presenta nella sua recentissima mostra personale allestita nell'antico Castello di Rapallo.

Questo giovane pittore napoletano, che vive ed opera a Milano, sa cogliere il fascino e le voci offerte dalla contemplazione della natura e dei suoi sussulti perennemente vitali, quella visione del mondo esterno che non si disgiunge da quello intimo, in un insieme di rappresa sensibilità e che , in una moderna sintesi, raccoglie passato e presente con una partecipazione che si rivela come necessità analogica per determinare il recepito e l'espresso sapientemente controllato e disciplinato.

La vita, la natura stessa, che involge uomini e cose, non è puntualizzata da tentazioni intellettualistiche, ma in aperta estasi d'ispirazione, che non ne riduce la capacità espressiva, mette allo scoperto un ricettivo messaggio di umanità e sentimenti ben definiti.

Sotto questo profilo, la tematica dell'arte di questo giovane artista napoletano è senza remore e senza schemi artificiosi e, nei contenuti espressi, il risvolto artistico è suggestivo, limpido e fluente, come sono la sostanza ed il respirodegli argomenti che egli pone sulla tela con acuta ispirazione.

Vincenzo Luglio

Consegna del premio "Il Pavone d'oro" dal Prof. Viale

Nota di A. Villani

Scritto per la mostra Donnemozioni

Moris de Leyva diplomato alle “Belle Arti” di Napoli, ha conseguito l'abilitazione all'insegnamento del disegno e della storia dell'arte, ha studiato Pittura con Guido Casciano, che lo portò a scoprire la famosa “Scuola di Posillipo” (movimento pittorico antiaccademico, sorto a Napoli nella prima metà del xix sec.) che influenzò la cultura europea dell'epoca. Questo indirizzo consisteva in una concezione Naturalistico-Lirico del paesaggio e dei personaggi del popolo pieni di “sentimenti”. Sono questi ultimi che interessano il nostro pittore il cui sguardo non è rivolto “ en plein air” ma a tutto il mondo interiore che ruota intorno al “ pudore dei sentimenti”. E' una pittura quindi Lirico-Simbolica (in altre occasioni tematiche ) Allegorico-Metafisica, giocando su più piani della nostra complessa realtà emozionale, dove le persone con i loro sguardi, i loro atteggiamenti, interpretano, anche inconsapevolmente, il mondo che ci circonda fatto di frammenti di immagini, di emozioni di desideri.

A. Villani